sabato 13 dicembre 2025

“Ritorno alle Origini” di Mario Cecchi - Un modo di vivere...



Ci sono persone che lasciano un segno talmente profondo da continuare a muoverci dentro, come se il loro esempio rimanesse impresso nelle direzioni che scegliamo, al punto da rivoluzionare la nostra vita. Se queste persone poi riescono ad arrivare a migliaia di altre anime, finiscono per segnare un’intera epoca. Mario Cecchi è stato una di queste persone e la sua dipartita è stata onorata e celebrata nella comunità di Avalon con una bolla di amore, fiori, musica, letture, silenzi, aneddoti, unione di cuori, così come lui avrebbe voluto.

Per chi non lo ha conosciuto è importante comprendere non solo il suo ruolo all’interno delle comunità intenzionali, ma l’ampiezza del suo contributo a tutto il movimento alternativo italiano. Per chi invece ha avuto il privilegio di camminargli accanto, come è accaduto a me, i suoi insegnamenti e la sua presenza restano scolpiti, come una bussola che continua a indicare la strada.

Mario è stato tra i fondatori del Popolo degli Elfi, nei primi anni ‘80, e successivamente di Avalon: luoghi che non sono solo comunità, ma esperimenti visionari nati sull’Appennino pistoiese quando parlare di ecovillaggi era solo un’utopia. Eppure lui ha sempre creduto in quella visione e l'ha perseguita con determinazione, con la pazienza del contadino, con ascolto profondo e con una fiducia cieca nella potenza del gruppo.

Mario ha aperto varchi su territori inesplorati negli anni in cui scegliere la terra, la comunità e l’autogestione appariva anacronistico, per non dire folle. È stato un pioniere del cambiamento, per la maniera in cui ha vissuto la comunità e per come è riuscito a contaminare con la sua testimonianza, connettendo realtà e persone anche molto distanti tra di loro.

E' stato tra i fondatori della RIVE, a fine anni ‘90. Ricordo l’emozione nelle sue parole scritte a penna sui fogli ingialliti, quando ricordava una delle prime riunioni ad Alcatraz. Lo faceva perché credeva profondamente nella necessità di collegare le esperienze, creare alleanze, custodire la memoria e rendere accessibile la strada a chi avrebbe voluto fare il grande salto e sposare il proprio sogno!

Senza la sua visione bioregionalista, l’apertura di cuore e la sua capacità di “tenere il campo”, la RIVE non sarebbe la rete viva, plurale e interconnessa che è oggi.

È stata una figura chiave anche nella diffusione di altri movimenti, come il Rainbow Gathering, il C.I.R. e molte esperienze che hanno alimentato la controcultura e la ricerca spirituale e sociale collettiva in Italia.

Ovunque arrivasse aveva la capacità di spalancare i cuori di chi lo ascoltava, nei raduni e negli incontri RIVE, ogni volta che condivideva i suoi pensieri e le sue emozioni, aiutava gli altri a connettersi alla propria verità e ad andare oltre il velo dell'illusione. Aiutava le persone e i gruppi a ricordare chi fossero, a osare nell’immaginare le visioni più grandi, a credere che il cambiamento non fosse soltanto qualcosa da desiderare, ma un cammino fatto di piccoli gesti quotidiani, di scelte possibili.

Mario non si definiva un maestro, non osava insegnare o spiegare nulla, lui mostrava nell'azione ciò in cui credeva. Per lui la comunità non era un progetto, era un modo di essere. La sua eredità continuerà ad esistere ogni volta che qualcuno sceglierà di restare quando tutto sembra insormontabile, di prendersi cura della terra come di un essere vivente, di proteggere ed accogliere i più deboli, di costruire comunità e legami.

Il suo messaggio era semplice e chiaro: ritornare a ciò che è essenziale e costruire insieme il cambiamento che tutti desideriamo!

In comunità e con profonda gratitudine.

Giorgia Lattuca - RIVE



giovedì 11 dicembre 2025

La realtà è maschera...?



L’esperienza comune di un cambio o rinnegamento di opinione, di considerazione, di giudizio e di descrizione potrebbe bastare ad ognuno per concludere in che termini è vero che la realtà è maschera e ricreare così il brocardo nietzschiano che i fatti non ci sono, bensì solo interpretazioni. (1)

 

 

Nonostante l’imprinting positivistico che ci impone di constatare che la realtà ha un’unica facciata, essa vive in noi soltanto in funzione della nostra presenza e descrizione. Se al cospetto di una medesima – presunta oggettiva realtà – dai presenti emergono descrizioni differenti, dovrebbe bastare per riconoscere in che termini è vero che la realtà è maschera.

 

Dovrebbe, ma non basta. La cultura in cui nasciamo riempie il vaso vuoto che siamo con il suo limo razional-materialista-scientista- meccanicista. Ciò tende a determinare in noi una tenace ma invisibile forma-pensiero che prende il nome di “oggettività”. Così, ne coltiviamo il culto e il mito, a mezzo del quale, diviene dogmatica.

 

Si può altresì osservare che il culto dell’oggettività è un magnete cognitivo e creativo che raduna, surroga e falsifica la libertà di pensiero, annichilendo così l’emancipazione dal suo popolare mito. 


Nonostante ciò, la narrazione dell’esistenza e della superiorità dell’oggettività non solo ha legittimità storica – se c’è, qualche esigenza l’avrà creata – ma ha, a suo favore, tutte le doti per descrivere attendibilmente il reale, purché limitatamente a un “campo chiuso” in un “tempo fermato”.

 

Campo chiuso allude ad un contesto regolamentato, il cui linguaggio e le cui regole sono accettate dagli attori.


Per guidare un’auto, per risalire il vento in barca a vela, per ottenere un medicamento omeopatico, per coltivare cipolle e per visitare un museo è necessario conoscere la relativa regolamentazione logistica, amministrativa, tecnica. Diversamente, nessuna delle attività appena elencate, quali campioni del concetto di campo chiuso, può essere soddisfacentemente realizzata.


Tempo fermato allude invece al momento preso in considerazione. Se alcuni campi chiusi – come per esempio presumibilmente quello della coltivazione delle cipolle – dispongono di un tempo fermato assai lungo, per altri, in generale quelli di carattere amministrativo, il tempo fermato si riduce. Una legislatura può modificare il come di più processi amministrativi; le regole di un gioco possono essere fisse e modificate in ogni momento e noi, possiamo cambiare le nostre in ogni momento, con il diritto di dare loro una durata volatile, a piacere.

 

Al contrario del campo chiuso, in cui i principi della logica e quelli della meccanica classica trovano il terreno ideale per fiorire e governano a pieno titolo e con somma efficienza ed efficacia, il campo aperto si riferisce a contesti relazionali non protocollabili e non esauribili entro le rigide architetture del razionalismo, della logica, del causa-effetto, della misurabilità, della prevedibilità. 


Se in quello chiuso, per esempio nella conduzione del decollo di un aereo, l’intento va a buon fine solo seguendo la procedura codificata e, in caso di avaria di qualche strumentazione, sarà la creatività – evento per definizione estraneo al conosciuto – del pilota a provvedere per il meglio.

In quello aperto, non v’è procedura alcuna, fatto salvo quella estemporanea, escogitata al momento. 

 

Tutte le libere relazioni umane, incluse quelle che possono accadere entro i campi chiusi, sono di tipo aperto, quindi del tutto corrispondenti all’infinito nella misura in cui, sempre, culminano in epiloghi potenzialmente imprevedibili, nelle quali avviene il regno del fraintendimento, dell’incomprensione, del contrasto e del conflitto. 


Nel caso di una relazione tra persone esso tende a produrre equivoci se si tratta di un confronto tra esigenze ed emozioni incompatibili o, al contrario, a realizzare comunicazione compiuta se compatibili, come nel caso degli amanti e dei complici, tra i quali si avvera una semantica inequivocabile con il minimo sforzo e con qualunque linguaggio, in cui il rischio di perturbazione tende al minimo. E così colui che danza cavalca il ritmo della melodia, al contrario dell’impacciato rapito dalle sue idee.

Si può così sostenere che nel caso equivoco gli attori sono mossi da vibrazioni tra loro cacofoniche, incommensurabili e che, nel secondo, è presente un’energia risonante. 


A evidenziare il concetto di incompatibilità, oltre alla rappresentazione grafica, può venire incontro l’impossibilità di coniugazione tra i numeri primi e tra questi e quelli divisibili (non solo da 1 e da loro stessi). Mentre, tanto questi ultimi quanto quelli della sequenza di Fibonacci – che peraltro contempla la presenza di numeri primi – si prestano a dare senso al concetto di compatibilità.

 

L’aspetto grafico di onde di vibrazioni può essere impiegato per esemplificare la realtà del campo chiuso e di quello aperto e perciò, anche della comunicazione compiuta o fallita, la natura del loro spirito meccanico-prevedibile per quello chiuso e quantistico-serendipidico per quello aperto, la realtà composta da parti esterne a noi e quella sempre integrale che nulla esclude esistente in noi.

 

La dimensione materiale e quella dell’oggettività avrebbero quindi modo di realizzarsi in occasione di una consonanza vibrazionale tra le parti. È così che il bimbo crede che la realtà corrisponda alla descrizione che ne fanno i genitori, lo scientista nei confronti di quella descritta dalla scienza, il tesserato a quella narrata e circoscritta dalla ideologia del suo partito e il buon cittadino, probiviro dell’etica democratica, vede il sistema e pensa di esserne protagonista. Ma anche da quella che decanta da un’idea. Nessun fiore della realtà esiste senza uno spirito che la insemini. Nessuna realtà è quindi fuori da noi prima di esserci dentro. 

 

La tendenza alla materializzazione, quindi ad una certa stabilità e univocità della realtà, è tipica del campo chiuso, mentre è caratteristica di quello aperto una certa volatilità che, graficamente parlando, corrisponde alla dissonanza tra le vibrazioni presenti/emesse dalle parti in relazione.

 

Se perciò il campo chiuso e la materia vedono quali fondamenta di se stessi la risonanza e permettono la ragione dell’ordine, della misurabilità e della prevedibilità, nonché del credito ai saperi cognitivi e della predilezione del criterio analitico, una risonanza è anche il dietro le quinte di ogni nostro cambio di idea, di stato, di concezione, di descrizione del mondo.

 

Considerare l’avvento di una consapevolezza e di un cambio di valutazione, ovvero del mutamento di prospettiva e descrizione della realtà, sarebbe dunque rispettoso delle configurazioni finora espresse in quanto, ad ogni scatto di consapevolezza, corrisponde una risonanza prima assente. 

 

Dunque, comprimere il mondo entro la narrazione meccanicistica e dare a questa il monopolio del vero e del giusto e del definitivamente oggettivo corrisponde alla mortificazione della conoscenza e a rimanere nella cultura brutale dei saperi e delle specializzazioni quali insuperabili, incomparabili e indiscussi picchi assoluti e non semplicemente funzionali all’organizzazione meccanica sociale. 


Vette dall’ossigeno rarefatto e dall’euforia incontrollata, dalle quali non ci si avvede della dimensione energetica e vibrazionale della realtà. Consapevolezza così necessaria per constatare l’origine ondulatoria degli equivoci, quanto indispensabile per riconoscere le forze sottili che trascorrono nelle relazioni tra noi e il nostro oggetto d’attenzione. Forze sottili ma potenti, sole madri delle nostre interpretazioni e dei nostri giudizi, che impregnano di sé i campi aperti.


Eppure, noi viviamo in questi. Non dedicarsi a loro, seguitare a costringere la vita entro autoreferenziali categorie, classificazioni, protocolli, misurazioni dello studio cognitivo è mortificare l’esistenza, il cui carattere è artigianale non industriale, analogico non digitale. È scialacquare la vita in un luna park di fuochi fatui, felici di sparare ai palloncini.


Lorenzo Merlo






mercoledì 10 dicembre 2025

C'era una volta...

 



 
Se le parole slegano i pensieri, l’acqua di vita scioglie le sostanze e inoltre condividono l’energia vitale: entrambe sono quindi simboli e segni della linfa vitale degli esseri viventi. La birra fresca libera la zucca e altri mille girasoli stelle filanti e forme di fiori. Viviamo in un mondo dove il falso e l’artificio hanno preso il posto del vero del semplice. Questo è il meccanismo della “seduzione” - dell’apparenza- che prende il posto del “naturale”- dell’intrinseca verità, la seduzione insomma è camuffamento, un mescolamento dell’apparente bello, mentre la chiara visione, potremmo dire la “chiaroveggenza” è la vera capacità percettiva di scorgere il bello in ciò che è, senza zavorra di inutile finzione.
 
Mai prima d’ora nell’umanità c’è stato un tale schieramento, ora sappiamo chi sono i veri resistenti sul pianeta Terra: donne, uomini, vecchi, giovani, ricchi, poveri, di tutte le razze e di tutte le religioni; i non abbacinati, i nocchieri dell’arca invisibile, gli unici che sono riusciti a resistere quando tutto è crollato… 
 
Diritto all’eleganza? La borsa LV Point Can - “latta di vernice” - di Louis Vuitton costa 2.160.00 euro e rappresenta la disperazione creativa dilagante dell’industria del fashion, che da tempo non teme il ridicolo, anzi , l’abbraccia, sperando in qualche modo di restare attuale e con il diritto all’eleganza nasce la sinistra “falce e borsetta”…
 
Secondo una antica profezia, giungerà il giorno in cui lo spirito femminile si risveglierà dal lungo letargo e lotterà per cancellare odio e distruzione e dare, infine, origine ad un mondo di pace e armonia.

Riciclaggio mix riproposto da Ferdinando Renzetti



Qualche riflessione sulla Fierucola delle Eccellenze Bioregionali dell'8 dicembre 2025...

Il saluto inaugurale degli organizzatori e delle autorità civili e religiose

La postazione dei volontari della Protezione Civile  e della vigilanza civica

Lunedì 8 Dicembre 2025 presso i locali dell’Ex Trea e del Mercato Coperto si è svolta nella cittadina marchigiana di Treia “La Fierucola delle eccellenze bioregionali”.

La manifestazione, organizzata dall’Auser Treia in collaborazione con diverse associazioni locali, con il patrocinio morale dell’Amministrazione comunale, aveva lo scopo, come si legge in una nota degli organizzatori, di sviluppare la collaborazione tra i concittadini in diversi campi che vanno dall’agricoltura all’arte, dall’artigianato alla poesia, dalla cultura popolare alla promozione sociale, ecc…, una semplice e meravigliosa fiera paesana espressione del genio creativo locale.

Grazie anche ad una bella giornata di sole e alla ricorrenza della festa dell’Immacolata, in cui si odono i primi prodromi delle incipienti festività natalizie, si è registrata una buona presenza di visitatori che hanno potuto apprezzare le diverse proposte di una quarantina di espositori.

Dopo un’assenza di un paio di anni, son tornato a partecipare  alla Fierucola e devo fare i complimenti a Paolo D’Arpini e Caterina Regazzi, le anime di questa manifestazione, per l’ottima organizzazione e per l’impegno che hanno profuso per la buona riuscita.

Come mio contributo promozionale ho allestito una campionatura di prodotti naturali, in parte derivanti dalla mia passione per le erbe officinali e in parte dalla mia attività di ruspante raccoglitore di bacche e di erbe spontanee con cui da diversi anni fanno parte della mia vita quali preziosi alleati per la mia salute.

Il mio interesse per il cibo come elemento di prevenzione e di guarigione affonda le radici nella tradizione ippocratica e si sostanzia dell’esperienza quarantennale di vegetarianismo. Lo scopo di questa campionatura è stato quello di offrire semplici e utili “pillole di benessere” attraverso un dialogo informale con le persone che ho avuto il piacere di conoscere durante la giornata. A tutti ho sottolineato la necessità di riappropriarsi della propria salute invitandoli a prendere in considerazione i tanti doni che la natura ci mette a disposizione gratuitamente come rimedi per alcuni malanni. Basta conoscerli e utilizzarli in modo corretto. Allargando lo sguardo, con qualcuno che si è intrattenuto più a lungo, si è convenuti sull’importanza di adottare stili di vita più in sintonia con i cicli naturali e meno influenzati da modelli astratti e modaioli. Sarebbero ancora tante le riflessioni che si possono fare su questa manifestazione, …e infine, prima di concludere vorrei ringraziare gli amici Caterina e Paolo per la calorosa ospitalità, la mia compagna Emanuela e l’amico Marco per la preziosa collaborazione. Abbiamo trascorso due giorni molto intensi. È stato bello esserci.

Michele Meomartino




martedì 9 dicembre 2025

L' “oggettività” negata...



L’esperienza comune di un cambio o rinnegamento di opinione, di considerazione, di giudizio e di descrizione potrebbe bastare ad ognuno per concludere in che termini è vero che la realtà è maschera e ricreare così il brocardo nietzschiano che i fatti non ci sono, bensì solo interpretazioni. (1)


Nonostante l’imprinting positivistico che ci impone di constatare che la realtà ha un’unica facciata, essa vive in noi soltanto in funzione della nostra presenza e descrizione. Se al cospetto di una medesima – presunta oggettiva realtà – dai presenti emergono descrizioni differenti, dovrebbe bastare per riconoscere in che termini è vero che la realtà è maschera.


Dovrebbe, ma non basta. La cultura in cui nasciamo riempie il vaso vuoto che siamo con il suo limo razional-materialista-scientista- meccanicista. Ciò tende a determinare in noi una tenace ma invisibile forma-pensiero che prende il nome di “oggettività”. Così, ne coltiviamo il culto e il mito, a mezzo del quale, diviene dogmatica.


Si può altresì osservare che il culto dell’oggettività è un magnete cognitivo e creativo che raduna, surroga e falsifica la libertà di pensiero, annichilendo così l’emancipazione dal suo popolare mito.

Nonostante ciò, la narrazione dell’esistenza e della superiorità dell’oggettività non solo ha legittimità storica – se c’è, qualche esigenza l’avrà creata – ma ha, a suo favore, tutte le doti per descrivere attendibilmente il reale, purché limitatamente a un “campo chiuso” in un “tempo fermato”.


Campo chiuso allude ad un contesto regolamentato, il cui linguaggio e le cui regole sono accettate dagli attori.

Per guidare un’auto, per risalire il vento in barca a vela, per ottenere un medicamento omeopatico, per coltivare cipolle e per visitare un museo è necessario conoscere la relativa regolamentazione logistica, amministrativa, tecnica. Diversamente, nessuna delle attività appena elencate, quali campioni del concetto di campo chiuso, può essere soddisfacentemente realizzata.

Tempo fermato allude invece al momento preso in considerazione. Se alcuni campi chiusi – come per esempio presumibilmente quello della coltivazione delle cipolle – dispongono di un tempo fermato assai lungo, per altri, in generale quelli di carattere amministrativo, il tempo fermato si riduce. Una legislatura può modificare il come di più processi amministrativi; le regole di un gioco possono essere fisse e modificate in ogni momento e noi, possiamo cambiare le nostre in ogni momento, con il diritto di dare loro una durata volatile, a piacere.


Al contrario del campo chiuso, in cui i principi della logica e quelli della meccanica classica trovano il terreno ideale per fiorire e governano a pieno titolo e con somma efficienza ed efficacia, il campo aperto si riferisce a contesti relazionali non protocollabili e non esauribili entro le rigide architetture del razionalismo, della logica, del causa-effetto, della misurabilità, della prevedibilità.

Se in quello chiuso, per esempio nella conduzione del decollo di un aereo, l’intento va a buon fine solo seguendo la procedura codificata e, in caso di avaria di qualche strumentazione, sarà la creatività – evento per definizione estraneo al conosciuto – del pilota a provvedere per il meglio.

In quello aperto, non v’è procedura alcuna, fatto salvo quella estemporanea, escogitata al momento.


Tutte le libere relazioni umane, incluse quelle che possono accadere entro i campi chiusi, sono di tipo aperto, quindi del tutto corrispondenti all’infinito nella misura in cui, sempre, culminano in epiloghi potenzialmente imprevedibili, nelle quali avviene il regno del fraintendimento, dell’incomprensione, del contrasto e del conflitto.

Nel caso di una relazione tra persone esso tende a produrre equivoci se si tratta di un confronto tra esigenze ed emozioni incompatibili o, al contrario, a realizzare comunicazione compiuta se compatibili, come nel caso degli amanti e dei complici, tra i quali si avvera una semantica inequivocabile con il minimo sforzo e con qualunque linguaggio, in cui il rischio di perturbazione tende al minimo. E così colui che danza cavalca il ritmo della melodia, al contrario dell’impacciato rapito dalle sue idee.

Si può così sostenere che nel caso equivoco gli attori sono mossi da vibrazioni tra loro cacofoniche, incommensurabili e che, nel secondo, è presente un’energia risonante.

A evidenziare il concetto di incompatibilità, oltre alla rappresentazione grafica, può venire incontro l’impossibilità di coniugazione tra i numeri primi e tra questi e quelli divisibili (non solo da 1 e da loro stessi). Mentre, tanto questi ultimi quanto quelli della sequenza di Fibonacci – che peraltro contempla la presenza di numeri primi – si prestano a dare senso al concetto di compatibilità.


L’aspetto grafico di onde di vibrazioni può essere impiegato per esemplificare la realtà del campo chiuso e di quello aperto e perciò, anche della comunicazione compiuta o fallita, la natura del loro spirito meccanico-prevedibile per quello chiuso e quantistico-serendipidico per quello aperto, la realtà composta da parti esterne a noi e quella sempre integrale che nulla esclude esistente in noi.


La dimensione materiale e quella dell’oggettività avrebbero quindi modo di realizzarsi in occasione di una consonanza vibrazionale tra le parti. È così che il bimbo crede che la realtà corrisponda alla descrizione che ne fanno i genitori, lo scientista nei confronti di quella descritta dalla scienza, il tesserato a quella narrata e circoscritta dalla ideologia del suo partito e il buon cittadino, probiviro dell’etica democratica, vede il sistema e pensa di esserne protagonista. Ma anche da quella che decanta da un’idea. Nessun fiore della realtà esiste senza uno spirito che la insemini. Nessuna realtà è quindi fuori da noi prima di esserci dentro.


La tendenza alla materializzazione, quindi ad una certa stabilità e univocità della realtà, è tipica del campo chiuso, mentre è caratteristica di quello aperto una certa volatilità che, graficamente parlando, corrisponde alla dissonanza tra le vibrazioni presenti/emesse dalle parti in relazione.


Se perciò il campo chiuso e la materia vedono quali fondamenta di se stessi la risonanza e permettono la ragione dell’ordine, della misurabilità e della prevedibilità, nonché del credito ai saperi cognitivi e della predilezione del criterio analitico, una risonanza è anche il dietro le quinte di ogni nostro cambio di idea, di stato, di concezione, di descrizione del mondo.


Considerare l’avvento di una consapevolezza e di un cambio di valutazione, ovvero del mutamento di prospettiva e descrizione della realtà, sarebbe dunque rispettoso delle configurazioni finora espresse in quanto, ad ogni scatto di consapevolezza, corrisponde una risonanza prima assente.


Dunque, comprimere il mondo entro la narrazione meccanicistica e dare a questa il monopolio del vero e del giusto e del definitivamente oggettivo corrisponde alla mortificazione della conoscenza e a rimanere nella cultura brutale dei saperi e delle specializzazioni quali insuperabili, incomparabili e indiscussi picchi assoluti e non semplicemente funzionali all’organizzazione meccanica sociale.

Vette dall’ossigeno rarefatto e dall’euforia incontrollata, dalle quali non ci si avvede della dimensione energetica e vibrazionale della realtà. Consapevolezza così necessaria per constatare l’origine ondulatoria degli equivoci, quanto indispensabile per riconoscere le forze sottili che trascorrono nelle relazioni tra noi e il nostro oggetto d’attenzione. Forze sottili ma potenti, sole madri delle nostre interpretazioni e dei nostri giudizi, che impregnano di sé i campi aperti.

Eppure, noi viviamo in questi. Non dedicarsi a loro, seguitare a costringere la vita entro autoreferenziali categorie, classificazioni, protocolli, misurazioni dello studio cognitivo è mortificare l’esistenza, il cui carattere è artigianale non industriale, analogico non digitale. È scialacquare la vita in un luna park di fuochi fatui, felici di sparare ai palloncini.

Lorenzo Merlo


Nota

  1. Formula attribuita a Nietzsche a causa di quanto affermato in Frammenti postumi 1885-1887, Milano, Adelphi, 1975.


sabato 6 dicembre 2025

Per un giornalismo nonviolento...

 


Il giornalismo nonviolento, pur non essendo un metodo formalmente codificato, come la Comunicazione Nonviolenta (CNV) di Rosenberg, può essere definito come un approccio all'informazione che applica i principi di Ahimsa (non-danneggiamento) e Satyagraha (forza della verità) di Gandhi, concentrandosi sulla comprensione dei bisogni e la ricerca di soluzioni, anziché sulla polarizzazione e la sensazionalizzazione.

Ecco i principi chiave che potrebbero definire il giornalismo nonviolento:

1.  Concentrarsi sulla struttura, non sulla contesa ("Principio strutturale")

  • Identificare e rivelare i bisogni: andare oltre la denuncia delle azioni immediate e identificare i bisogni umani universali (es. libertà, sicurezza, dignità, riconoscimento) che sono insoddisfatti e che guidano il conflitto.

  • Contestualizzazione completa: non limitarsi a riportare chi ha fatto cosa, ma fornire il contesto storico, sociale ed economico che ha portato all'evento. Rifiutare le narrazioni semplicistiche che dividono le parti in "buoni" e "cattivi."

  • Denunciare la violenza strutturale: riconoscere e denunciare non solo la violenza visibile (guerra, terrorismo) ma anche la violenza strutturale (povertà, disuguaglianza, discriminazione sistemica) che è spesso la radice del conflitto.

2.  Sostenere l'empatia e il dialogo ("Principio relazionale")

  • Dare voce a tutte le parti: dare spazio equo alle voci di tutte le parti in conflitto, le "vittime" in primo luogo, ma anche agli "oppressori", ai mediatori e, soprattutto, ai cittadini comuni che cercano soluzioni.

  • Uso consapevole del linguaggio: evitare il linguaggio che polarizza o demonizza. Utilizzare termini che descrivano i fatti e l'impatto della sofferenza, piuttosto che etichette morali o giudizi (es. descrivere la violenza senza usare un'etichetta legale definitiva se non confermata, per mantenere aperto il dialogo).

  • Rifiuto della sensazionalizzazione: non focalizzarsi sui dettagli più violenti o sanguinosi al solo scopo di aumentare l'audience (giornalismo della tragedia), ma riportare la sofferenza con dignità e rispetto.

3.  Orientamento alla soluzione ("Principio costruttivo")

  • Coprire le iniziative di pace: invece di concentrarsi unicamente sul fallimento dei negoziati o sull'escalation, dedicare spazio e attenzione alle iniziative di pace, mediazione e riconciliazione in corso, anche se su piccola scala (es. gruppi di collaborazione palestinesi/israeliani e non solo foto di massacri).

  • Rappresentare la complessità: riconoscere che le soluzioni sono raramente binarie. Evitare di ritrarre la pace come l'assenza di guerra; mostrare invece il processo complesso e incrementale attraverso cui le relazioni vengono ricostruite.

  • Responsabilità del lettore/ascoltatore: fornire ai lettori e agli ascoltatori informazioni che li rendano cittadini attivi e informati sulla possibile risoluzione del conflitto, piuttosto che spettatori passivi e spaventati.

In conclusione, mentre il giornalismo tradizionale spesso utilizza il conflitto come prodotto (attraverso la logica della contesa e del dramma), il giornalismo nonviolento, che chiamo provocatoriamente "antigiornalismo", cerca di usare la sua influenza per promuovere il dialogo e individuare il terreno comune necessario per una pace duratura. Tenendo sempre presente la massima: una "brutta pace" (= tregua militare in cui tacciono le armi) è sempre meglio di una bella guerra (= l'accanimento sanguinoso e devastatore con cui si difendono i confini ritenuti "giusti").


Alfonso Navarra - Disarmisti Esigenti - alfiononuke@gmail.com





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giovedì 4 dicembre 2025

Emilia Romagna. “Per il Clima – Fuori dal Fossile”

 


Il Coordinamento ravennate “Per il Clima – Fuori dal Fossile” condivide la presa di posizione di RECA (Rete Emergenza Climatica e Ambientale Emilia Romagna) e di AMAS-Er (Assemblea dei Movimenti Ambientali e Sociali Emilia Romagna) in merito alle recenti scelte della Regione Emilia Romagna, che sul territorio ravennate impattano in maniera significativa, e appoggia ogni forma di mobilitazione che RECA e AMAS-Er vorranno proporre. Riportiamo e facciamo nostro il comunicato stampa delle due reti sociali:

Abbiamo appreso che la Regione Emilia-Romagna sta lavorando per arrivare ad un aggiornamento del Patto per il lavoro e il clima, realizzato nel 2020 e che RECA (Rete Emergenza Climatica e Ambientale, che raggruppa più di 80 tra  Associazioni e Comitati che si occupano dei temi ambientali) non aveva sottoscritto.

Abbiamo avuto modo di leggere il materiale predisposto, senza che esso ci sia stato inviato da parte della Regione e, ancor più, senza essere stati chiamati per svolgere un confronto attorno ad esso.

Riteniamo l’esclusione di RECA dal confronto in atto un vero e proprio “vulnus” democratico, indice di una chiusura e di un atteggiamento sprezzante nei confronti di chi non condivide le scelte prodotte dalla Regione sulle politiche ambientali. Due fatti sono particolarmente gravi ed inaccettabili: il primo è che la giunta Bonaccini, all’epoca della messa a punto del Patto del 2020 chiamò anche RECA al tavolo del confronto, mentre oggi non ci è pervenuto analogo invito da parte della giunta De Pascale. Il secondo, che rende ancora più intollerabile questa vicenda, è che, nella fase iniziale della nuova legislatura, in un incontro apposito svolto tra il Presidente De Pascale e RECA, esattamente il 24 febbraio di quest’anno, lo stesso Presidente ci rassicurò sul fatto che RECA sarebbe stata coinvolta in tutti i passaggi significativi di confronto sui temi ambientali, arrivando a criticare il suo predecessore per non averlo fatto dopo che RECA non aveva firmato il Patto per il lavoro e il clima! Questa palese dimostrazione di incoerenza e di discrepanza tra gli impegni presi e la pratica messa in atto la dice lunga sull’affidabilità della Giunta regionale e del suo Presidente: peraltro, questo scarto va ben al di là dei rapporti tra Regione e RECA, ma, come dimostrano molte vicende, rischia di essere proprio la cifra del modo di essere del governo regionale in carica.

Venendo al merito delle questioni presenti all’interno del documento di base per l’aggiornamento del Patto per il lavoro e il clima, intanto ci tocca constatare come l’analisi proposta appare completamente scentrata rispetto ai processi in atto, decisamente edulcorata, probabilmente per non voler riflettere sulla crisi economica, sociale e ambientale che investe anche la nostra regione. Infatti, dire che oggi  siamo passati da una situazione di una “globalizzazione senza attriti” ad una “globalizzazione condizionata” significa non prendere atto che, in realtà, oggi viviamo, invece, in un mondo dominato dai nazionalismi, dalle guerre commerciali e dalla guerra vera e propria come strumento per regolare i rapporti internazionali.
Allo stesso modo, se non con uno stravolgimento ancora più incredibile, bisogna essere veramente fuori dal mondo per dire che “nel suo discorso sullo Stato dell’Unione del settembre 2025, 
la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha sottolineato l’urgenza di rafforzare le politiche europee su alcuni fronti strategici: sicurezza, neutralità climatica, autonomia energetica, casa accessibile, qualità del lavoro.
Ha rilanciato il programma per un’industria europea più competitiva e ribadito la necessità di garantire che la transizione ecologica sia anche una transizione giusta e inclusiva”, quando proprio quel discorso ha sancito l’idea che 
l’Unione Europea debba attrezzarsi per giocare un ruolo importante nel mondo dominato puramente dai rapporti di forza e, su questa base, affermato la necessità di passare ad una vera e propria economia di guerra.

Guardando, poi, in modo più ravvicinato, ai temi sociali e ambientali proposti nel documento, che dovrebbero rappresentare le scelte di fondo che si intendono compiere nei prossimi anni, ci tocca ribadire la critica  che già svolgemmo a proposito del Patto del 2020 e che, oggi, appare non solo confermata ma rafforzata.
In buona sostanza, ci troviamo di fronte ad un solco profondo tra gli intenti proclamati e le politiche concrete attuate. Gli esempi sarebbero moltissimi e, quindi, ci limitiamo a segnalarne solo alcuni. Si continuano ad avanzare contenuti che sembrano utili a tutelare la risorsa acqua, ad affermare l’idea dell’economia circolare nel ciclo dei rifiuti, a promuovere una mobilità sostenibile, nel momento stesso in cui le politiche concrete vanno nella direzione della privatizzazione dell’acqua, ad incrementare la produzione dei rifiuti, ad andare avanti con le grandi opere, che comportano forte consumo di suolo e incentivano il traffico veicolare privato su strada.


Sulla transizione energetica, viene riproposto l’obiettivo di coprire i consumi finali di energia elettrica con le fonti rinnovabili al 2035, ma 
senza che esso venga supportato da una credibile pianificazione degli interventi che lo rendano possibile, e intanto si prosegue sostenendo l’economia del fossile, come nel caso del rigassificatore e del progetto di cattura e stoccaggio della CO2 di Ravenna, e in quello del metanodotto della “linea Adriatica”. 

Una vera e propria “perla” è poi il ragionamento sviluppato nella parte finale in tema di partecipazione, dove si fa un’esaltazione del ruolo fondamentale della stessa da parte dei cittadini, senza riuscire a citare lo strumento delle leggi di iniziativa popolare, e in specifico le 4 proposte di legge sui temi ambientali promosse ancora dal 2022 da RECA e Legambiente regionale e di quella per fermare definitivamente l’autonomia differenziata, proposta dal Comitato regionale contro ogni autonomia differenziata, che giacciono nei cassetti della Regione, senza che ci siano segni che esse vengano realmente discusse!

Insomma, non ci pare esagerato sostenere che siamo di fronte ad un’operazione di pura propaganda, che contraddice platealmente la realtà che viviamo tutti i giorni e che, invece, reclama una svolta profonda nelle politiche ambientali e sociali della Regione. E che si potrebbe realizzare proprio discutendo e approvando le proposte di legge di iniziativa popolare sui temi dell’acqua, dei rifiuti, dell’energia e dello stop al consumo di suolo, che, probabilmente non a caso, l’attuale maggioranza di governo continua ad ignorare.


RECA (RETE EMERGENZA CLIMATICA E AMBIENTALE Emilia Romagna)

AMAS-ER (Assemblea dei Movimenti Ambientali e Sociali Emilia Romagna